domenica 21 febbraio 2010

La nascita del significato

WILARD parte sesta. I modelli, il mondo sensibile, la nascita del significato.

In questo excursus che procede a volo radente su temi che fanno tremare i polsi a fior di filosofi ed epistemologi, e che riguardano la definizione di cosa sia la scienza esatta, la funzione dell'esperimento e come questo abbia cambiato la percezione del vero, focalizzandosi sin dai tempi di Galileo sulla descrizione quantitativa dei fenomeni della realtà più che sulla compresione metafisica degli stessi, abbiamo intravisto anche che in alcuni comparti della scienza come nelle scienze umane il ruolo e l'influenza dello sperimentatore non sia un elemento astratto ed estruso dall'esperimento: l'uomo tende ad assegnare significati a priori ai fenomeni e questo è proprio ciò che il metodo sperimentale e la scienza moderna dai tempi di Galileo cercano di escludere. Sono ammesse solo descrizioni fenomenologiche ripetibili misurabili, non sono ammesse interpretazioni non quantitative, per quanto possano essere brillanti, direttamente o indirettamente non osservabili.

Notiamo che dal metodo sperimentale e dalla scienza è nata una filosofia sociale, il materialismo e una corrente di pensiero che prende il nome di positivismo, che ritiene vero solo ciò che è direttamente misurabile. Questo concetto ha permeato talmente la nostra cultura che lo riteniamo un vero "per sè". Nessuno lo mette in discussione, volendo da un lato misurare anche fenomeni che non lo sono, come il destino, l'amore, la psiche, e così via, dall'altro negando dignità a questioni metafisiche come l'esistenza di Dio, l'origine causale del cosmo, l'entelechia dell'anima il significato del nostro destino e la natura metafisica dell'etica.
Tutti temi che fino a Kant ed Hegel trovavano piena dignità nel pensiero umano.

Dalla nascita del metodo sperimentale, che si è affermato con sicurezza nelle scienze esatte e sociali, l'approccio con la realtà che la prassi scientifica moderna ha, ha portato a dover fronteggiare il problema di manipolare l'incertezza di alcune sue manifestazioni: questo ha favorito il fiorire nuove scienze, che non sono matematiche ma autonomamente fondazionali, come la teoria della probabilità (il cui primo e più noto rappresentate è stato Pascal) e la statistica.
Qui il concetto di esperimento inteso come singolo rappresentate, istanza realizzata di un modello puro e perfetto - espressione di una funzione, una equazione descrittiva di un fenomeno - ad un certo punto comincia mutare.
La teoria della probabilità e la statistica nascono quasi come una curiosità, uno strumento descrittivo e manipolativo della teoria dei giochi, ma si approfondiscono sempre più nei secoli fino a raggiungere punti critici della teoria della conoscenza, fino a generare concetti assolutamente nuovi per la filosofia e per la scienza, come il significato di incertezza, il concetto di caso, e la sua natura. Il fenomeno, il dato, non è più inteso come rappresentante di un modello nitido e puro, ma come realizzazione di un disegno più generale descritto dai dati stessi spesso inconoscibile a priori.

E' interessante notare come in questo periodo si è cominciato a parlare di probabilità a posteriori e a posteriori, e come Bayes sia stato in grado di collegarle tra loro. Di fatto Bayes ha stabilito che la probabilità di osservare un fenomeno a posteriori (i.e. avendo osservato specifici dati della realtà) equivale alla verosimiglianza, i.e. alla distribuzione di probabilità dei dati in quello specifico tipo di fenomeno, per la probabilità a priori che avvenga quel tipo di fenomeno, normalizzata per la somma della verosimiglianze di tutti fenomeni (fig. a sinistra).

Notiamo che questa equazione largamente usata in statistica, non è un teorema ma una formula, una affermazione. Questo ci fa intendere quanto negli strati più profondi e riconosciuti della scienza teorica e sperimentale il vero e il falso non siano dei diamanti concettuali, intatti e puri, filosoficamente (e concretamente) inattaccabili, ma siano più pragmaticamente il risultato di una contrattazione sociale considerata vera da un ristretto numero di cultori che chiamiamo, propriamente o impropriamente, scienziati. La scienza non è vera, non fa affermazioni vere, ma parla di concetti considerati veri fino a prova contraria. Il vero in senso scientifico è il meglio che si possa dire secondo le conoscenze attuali, e non è un vero incontrovertibile.

Qualche decennio più tardi i chimici e i fisici formularono la teoria atomica della materia, gli atomi come elementi costitutivi e misurabili della materia all'interno di una teoria. Dalle misurazioni dei fenomeni corpuscolari, capirono in fretta che gli atomi non si comportavano affatto come un insieme di individui governati da leggi uguali, come ad esempio avveniva per i gravi nella teoria del moto galieliano, o i pianeti nella teoria gravitazionale di Newton, ma costituivano fenomeno teorico nuovo e a sè stante. Gli atomi e gli elementi subatomici si presentavano come la realizzazione di un fenomeno casuale (ma non caotico) descritto da una funzione di probabilità. Nasce la meccanica quantistica, che serve a sistematizzare un insieme di precetti assolutamente nuovi come il principio di indeterminazione di Heisenberg, il concetto di posizione probabilistica di una particella, la doppia natura ondulatoria e corpuscolare delle particelle, e così via dicendo.

In questa rivoluzione culturale - iniziata da Einstein, Pauli, e Plank e tuttora in corso di sviluppo e modificazione - si fa strada il concetto che le funzioni probabilistiche non siano pure astrazione matematiche, ma modelli descrittivi dell'infinitamente piccolo e delle forze ultime che regolano l'universo. Senza addentrarci in questioni che richiederebbero più di questo spazio per essere adeguatamente approfondite, diremo che il mondo non appare più binariamente diviso in concetti Aristotelicamente "veri o falsi", le verità non sono più legate ai fenomeni individuali, ma sono descritte dalle realizzazione di milioni di casi singoli, che condividono una formulazione unica, un impronta, la funzione di probabilità del fenomeno, o la sua descrizione collettiva.

Questo concetto inizialmente controverso comincia a influenzare anche altri rami della teoria della scienza, in particolare la teoria dell'informazione, intaccandone e modificandone profondamente il senso. La teoria dell'informazione precede la nascita dei computer, Aristotele ha parlato di logica, semantica e metodi di deduzione già negli analitici secondi, Boole ha fondato quei principi di logica operativa che sono alla base della costruzione dei microchip, l'omonima logica booleana, a metà dell ottocento. E' interessante notare che anche se l'informatica è nata in un periodo bellicoso e disincantato della storia della scienza, i dati in informatica sin dall'inizio sono stati legati ad una interpretazione, una semantica di tipo binario. L'informazione stava in un contesto dal significato sicuro: conforme o difforme al protocollo. Vero o falso. Tutto quello che si poteva dire aderiva ad una logica aristotelica. Esisteva o non esisteva.
Non solo, tutto si rifaceva ad una metodica di scuola Hilbertiana, secondo cui il significato di un simbolo non esiste intrinsecamente, ma solo estrinsencamente, il segno da solo ha significato. Le algebre sono perfettamente in grado di trasformare dati vecchi in dati nuovi seguendo protocolli senza necessità di comprendere i significati dei passaggi intermedi. Come uno scolaro trasforma una espressione algebrica lunga e complessa, fatta di numeri e lettere, radici, frazioni, esponenti, in un dato finale sintetico finale, usando sole poche regole che vengono meccanicamente applicate, così il computer poteva determinare un senso finale corretto (output) da uno iniziale (input) usando metodi finiti di manipolazione di simboli, di natura puramente sintattica. Questa la promessa di Hilbert, logico e matematico dei primi del '900. Questi metodi, oggi lo sappiamo, si chiamano programmi.

In tempi recentissimi questo approccio ha cominciato ad essere radicalmente messo in discussione. Tutti abbiamo sotto gli occhi la legnosa e tetragona concretezza dei nostri computer, formidabili attuatori incapaci di qualsiasi flessibilità interpretativa. Per superare i limiti imposti dal modello classico della computazione intesa come puro strumento sintattico si è voluto introdurre il concetto di interpetazione non binaria del dato, e di semantica (significato contestualizzato) dell'informazione.

Da qui si è fatto largo il concetto di significato del dato anche nella teoria dell'informazione.
I dati hanno un senso, e questo senso non è il risultato di una singola osservazione ma emerge come un pattern, un'impronta da un insieme di osservazioni. E' interessante notare come anche nell'informatica la statistica (ma non solo quella) abbia fatto breccia proprio come strumento valido per assegnare significato ai dati.
In particolare il teorema di Bayes è uno strumento potente, ma non l'unico, negli ambiti dell'intelligenza artificiale che consente di assegnare una semantica, ai dati provenienti dalla realtà.

Ma vedremo questo in seguito.

Le altre scienze sono scientifiche?

WILAR parte quinta. Le altre scienze sono scientifiche? L'effetto placebo e la medicina.

Ma cosa succede (what if) se uno "salta" dalla scienza sperimentale per eccellenza, la Fisica, alle altre scienze, come ad esempio la medicina, la statistica, l'informatica e l'ingegneria? Non tutte le scienze sono eguali. L'ingegneria non è neanche una scienza, strettamente parlando, ma un metodo. Un metodo per usare bene le altre scienze. Il discorso si farebbe lungo, ma detto in parole brevissime, il metodo sperimentale si presta a volte meno bene per discipline che hanno l'uomo come soggetto di sperimentazione. O che hanno la prassi come obiettivo. Nelle discipline scientiche rivolte all'uomo, si ricorre talvolta a metodi randomizzati, a metodi statistici, che si fondano su prove ripetute su diversi soggetti, allo scopo di dedurre una verità non assoulta, ma media, di popolazione. Si va alla ricerca di un modello valido su un insieme di persone, il più accurato e scientifico possibile, cercando di capirne il profilo probabilistico.

In questi modelli sperimentali epidemiologici i medici hanno inventato - anzi introdotto - il cosidetto metodo del "Cieco". Quando si fa un esperimento in medicina - ad esempio se si testa un nuovo farmaco - si usano due gruppi, uno dei quali è detto gruppo di controllo. Al gruppo normale viene somministrato il farmaco oggetto di sperimentazione, al gruppo di controllo viene invece dato un farmaco privo del principio attivo, senza medicinale in pratica. Questo per eliminare il cosidetto effetto placebo. I risultati del farmaco verranno analizzati, statisticamente, su entrambi i gruppi, facendo un confronto. Nessuna sperimentazione medica piò essere considerata seria se non è fatta in cieco o in doppio cieco, oggi.

L'effetto placebo, già. Ma che cosa è? E' sperimentalmente documentato che se si somministra una medicamento nullo, cioè un farmaco che non contiene nessun principio (acqua fresca, detto in termini poco scientifici), per il solo fatto di ritenere di essere curati, la malattia tende a regredire, o regredisce più in fretta, o - in alcuni casi - scompare completamente proprio come se ci fosse un principio attivo. Questo ovviamente statisticamente, cioè in più soggetti di quanto di norma accada.
Forse qualcuno coglie alcune analogie tra il placebo e la cosidetta medicina omeopatica.
Anche la medicina omeopatica usa la quasi totale assenza di un principio, ma al tempo stesso promette la cura. La medicina omeopatica è un placebo, in effetti. E' un puro effetto "sciamanico", suggestivo. In breve non ha basi scientifiche. O meglio ne ha una sola: l'effetto placebo. La suggestione indotta.

La differenza tra le due "Medicine" è solo nel metodo (warning: l'omeopatia non è "Medicina", non ha fondamenti o principi scientifici a cui appellarsi). Però questa fa la differenza tra essere uomini di scienza o meno: ragionare sulla base di un metodo razionale considerato valido. Il metodo serve a distinguere tra un principio, per quanto ben congegnato, ma falso, e un modello (una spiegazione) magari meno ben congegnata, ma vera. Vera o presunta tale. Perchè il concetto di Vero nella scienza è tutt'ora in discussione (e.g. vedi K.Popper).

Forse avrete sentito anche parlare di doppio cieco per gli esperimenti medici. Con doppio cieco si intende esprimere il concetto che ANCHE il medico sperimentatore, in uno studio randomizzato, non debba essere a conoscenza di quale sia il farmaco contenente il principio e quale il placebo. Questo perchè è altrettanto ben documentato che lo sperimentatore, più o meno consciamente, possa tenere un atteggiamento che induce il soggetto ad intuire o a percepire - direttamente o indirettamente - la natura del farmaco somministrato, in generale la natura dell'esperimento

Dandogli un nome, così su due piedi, lo potremmo chiamare: "effetto del cavallo che sa contare".
Mi spiego meglio. Nel 1904 a Berlino, il cavallo del signor Osten, un cavallo circense di nome Hans, fu sottoposto ad un esperimento molto singolare e forse "poco ortodosso" dal Dr. Miessner e Dr. Nagel dell'Università di veterinaria e fisiologia di Berlino, e successivamente dal dottor Pfungts, psicologo. Osten, il circense, affermava con tutta onestà di aver insegnato al proprio cavallo a contare. Chiunque poteva chiedere al cavallo Hans di fare operazioni matematiche, ad esempio di sommare due numeri, e il cavallo rispondeva battendo lo zoccolo a terra un numero di volte pari al risultato dell'operazione. Il cavallo sapeva anche sottrarre, moltiplicare, estrarre radici, etc. Questo fenomeno avveniva davanti agli sperimentatori, col proprietario presente, ma (stupefacentemente) anche in assenza del proprietario del cavallo. Insomma, un caso difficile da comprendere e singolare.

Per fare corta una storia lunga risultò in sostanza questo. Il Dr. Miessner e Nagel fecero delle ipotesi piuttosto stravaganti (azione mentale a distanza). Pfungst - più seriamente - si limitò ad osservare attentamente le interazioni delle persone con il cavallo (Hans), e scoprì che, ad ogni domanda, il respiro, la postura e l’espressione facciale delle persone che erano vicine ad Hans e che conoscevano le risposte, cambiavano ogni volta che lo zoccolo batteva per terra, mostrando un leggero ma evidente aumento della tensione interiore. Quando Hans batteva lo zoccolo dando la risposta giusta, la sottile tensione, che anche Pfungst notava, scompariva. E sembra proprio che il cavallo Hans (abituato al pubblico e al contatto umano) si accorgesse di ciò, fermando il battere del suo zoccolo, appunto sulla risposta giusta.

Se un cavallo può percepire lo "stato d'animo" dello sperimentatore, figuriamoci un uomo. Un uomo poi che vuole essere curato è ancora più sensibile. Le impressioni e la psicologia delle interazioni introducono nella sperimentazione in cui l'uomo è il soggetto dell'esperimento, una variabile che manca nella sperimentazione meccanica dei gravi, delle forze e dei moti del Fisico: lo stato mentale dello sperimentatore e dello sperimentato, che diventano elementi perturbatori del modello (in realtà perturbatori della verifica del modello). Lo scopo del doppio cieco - introdotto proprio dai medici - è quindi quello di evitare che i risultati della ricerca vengano influenzati a priori non solo dal condizionamento del paziente ma anche da quelli indotti indirettamente dal medico (e dallo statistico che fa i calcoli) che sta effettuando la ricerca.

Potremmo dire (?) quindi che le scienze che ricorrono al metodo del cieco o doppio cieco siano scienze sociali, e non scienze sperimentali nel senso Galieliano del termine? In un certo senso sì. Sono meno scientifiche? E' una buona domanda.

(Parte sesta: la nascita del significato.)

Il metodo sperimentale secondo Feynman.

WILAR. Parte quarta. Il metodo sperimentale secondo Feynman.

Il tema è la passione e la sfida. Ma la passione senza metodo, non serve a molto. Il metodo sperimentale inventato e proposto da Galielo, che tanto gli costò in termini concreti, fondò istituzionalmente la Fisica come la intendiamo oggi. Diede uno strumento e un principio per dirimere le ipotesi generate dal basso, dalla realtà. Un modo per discernere "il grano" delle idee scientifiche dalla "pula" delle intuizioni geniali, coerenti e raffinate, ma false.
Profonda era la differenza col metodo dei peripatetici (i seguagi della scuola aristotelica) allora ampiamente in voga, che invece chiedeva che si generassero idee pure e semplici, basate su principi di accettabilità metafisica, di bellezza ideale, di coerenza e purezza, e da queste se ne derivassero tutte le conseguenze. Fino anche alle più assurde e contrastanti con la realtà.

Se non credete al pensiero di Galileo, potete credere a Feynman (ancora una volta, ma è solo un caso: è il gentile signore nella foto che sorride e suona i bonghi) che in un video (vedi sotto) spiega in modo chiaro e alla lavagna, come un normale professore di scuola, che cosa sia il metodo sperimentale.
In questo brevissimo video (di due minuti), con una certa verve, egli ci spiega cosa si intende e come si procede, fuori dai denti e senza tanta retorica (che vi aspettereste da un Premio Nobel che suona i bonghi?) col metodo sperimentale. Pensate che Feynman, su queste basi, quelle che ci mostra alla lavagna con la passione di un bel professore liceale, ha inventato un parte della Fisica, la meccanica quantistica - anzi i suoi metodi - che gli hanno valso un Nobel a 47 anni, la partecipazione al progetto Manhattan (la costruzione della prima bomba atomica) a 27 anni, e uno spazio di rilievo nella storia della Scienza e della Fisica.

Qui il video, brevissimo (2 minuti 28 secondi), dategli un occhio.
http://www.youtube.com/watch?gl=US&feature=player_embedded&v=jMiQUStPvNA

P.S. e se pensate che i Bonghi siano lì solo come elemento scenico, vi dissuado subito.
http://www.youtube.com/watch?v=qWabhnt91Uc&feature=related


Parte Quinta. Le altre scienze sono scientifiche?

Abbandoniamo la mistica.

WILAR. Parte tre. Abbandoniamo la Mistica.

Quello che abbiamo visto nel post precedente è la mistica, l'ideale. L'astrazione. L'idea fatta di materia platonica e anche di un minimo di retorica della ricerca. All'estremo opposto, c'è la realtà. La vera ricerca.

Fare il ricercatore/il filosofo/lo scienziato/l'archeologo/il biologo significa affrontare una lunga trafila - simile a quella di un attore, o un musicista - fatta di corsi, audizioni, prove, scuole, tentativi, aggiornamenti, contatti, ribalte, entrature, finanziamenti. Sempre giostrandosi tra paternalismi, scuolacurriculismo, pregiudizi (scientifici e umani), competizione, sgambetti, condizionamenti, raccomandazioni, lobbying, invidie, doppiopesismi, critiche, commenti, etc. La cosa veramente affascinante è come da questo marasma ANTIscientifico, si riesca ancora a trovare tempo per fare scienza.

Ieri abbiamo esemplificato una visione statica, perfetta, ideale della scienza. Perchè per questo essa si vende, questo è il lato che ama mostrare a tutti. Ma la scienza non è solo questo. La realtà è che tutto quelle che leggiamo in un libro, che quasi diamo per scontato, è stato oggetto di ignoranza, scherno, diatriba, colpi bassi, furti intellettuali, e tutte quelle manifestazioni che costituiscono il peggio del repertorio dell'umanità. Molte buone idee sono state oggetto di oscurantesimo e settarismo nel corso della storia anche recentissima. E sicuramente anche oggi, in qualche cassetto giace una buona idea, una visione del mondo, della scienza che non giunge fino a noi per scherno, ignoranza, incomprensione o magari anche solo per eccesso di conformismo.

Il caso storico più eclatante è quello di Galileo convocato a giudizio dal cardinale Roberto Bellarmino per aver messo nero su bianco (nel noto Dialogo sui due Massimi Sistemi) che il sistema Tolemaico con la sua teoria Geocentrica non fosse esplicativo del moto dei corpi celesti tanto quanto il modello di Keplero. Una inezia filosofica, onestamente. Diatribe intellettuali. Fine schermaglie tra dottori in filosofia e fisica.

Forse, ma non dal punto di vista di Galileo. Qualche decennio prima, lo stesso tribunale, e il medesimo Bellarmino, avevano condannato al rogo un certo Giordano Bruno. Galileo subì due processi, e nel secondo fu chiamato, anzi gli fu intimato di presentarsi altrimenti ne sarebbe stato "trascinato coi ceppi alle mani". Galileo sapeva che in quella diatriba non c'era in ballo solo una questione astratta. Da una parte si giocava anche la sua credibilità di uomo dotto, la sua carriera diremmo oggi, dall'altra la sua vita: il rischio di una condanna a morte. Schermaglie filosofiche, che potevano costare la vita.

Saltando oltre, che dire del sistema arabo per contare? Quello che impariamo alle elementari per fare le somme e sottrazioni coi riporti. Roba da bambini...penserete. Questo sistema sostituì quello dell'abaco, il metodo inventato dai romani, ma secoli dopo, perchè considerato troppo complesso e strano. Richiese lungo tempo per essere completamente assorbito.

L'infinito? Che c'è di più semplice di quello: un gioco da bambini. Come facevamo da piccoli per schernirci? "Scemo, scemo mille volte più di te". "Specchio riflesso". "Specchio riflesso più uno " "no, più due" "no, più infinito". "no, infinito, più uno".
Ecco su questo punto, "sull'infinito più uno", il matematico Cantor ci si spaccò la testa alla fine dell'800. Dopo migliaia di anni di storia della matematica stupì i contemporanei dimostrando che gli infiniti non erano tutti uguali tra loro. Esistono infiniti che sono più infiniti di altri.
Banale? Non tanto. Galileo, che non era uno stupido, ad esempio pensava che "tutti i pari" fossero menodi "tutti gli interi". Essendo i pari, per dirla in modo in modo brutale, "un intero sì ed uno no" sembra logico pensarlo.
Non solo Cantor dimostrò che i pari erano tanti quanti gli interi, ma mostrò anche - in modo rigoroso e ineccepibile - che i numeri Reali erano molto più numerosi degli interi stessi, in un modo incommensurabile (inconfrontabile: oggi si dice Non-Numerabile) usando il noto argomento diagonale , da lui stesso inventato. Dimostrò che i Reali (tutti i numeri rappresentabili in notazione decimale) erano più dei razionali (le frazioni) che a loro volta erano tanti quanti gli interi (1,2,3...) . Per la prima volta nella storia Cantor aveva dimostrato che si poteva creare una gerarchia di infiniti. Dire "infinito più uno", non era più una banalità da bambini.
Questo generò perplessità, qualche confusione, discussioni, e accuse a non finire. Leopold Kroneker giudicò le idee di Cantor (sbagliandosi) assolutamente prive di senso. Cantor che soffriva di depressioni si sentì un perseguitato. Morì schizofrenico in un'ospedale psichiatrico. Questo è quel che succede ad avere l'hobby di contare come Dio? Può essere. Le sue dimostrazioni, tuttavia rappresentano uno dei vertici del pensiero umano dal punto di vista epistemologico e matematico per potenza, metodica, e novità. (Vedi anche qui).


Saltando indietro di quasi 20 secoli, Archimede inventò un metodo per calcolare per approssimazione il pigreco che non fu ben recepito da tutti, anzi fu visto come una violazione dello spirito geometrico della matematica Platonico-Pitagorica. Archimede, per la verità, non si turbò, e prosegui con i suoi studi sulle coniche, le leve, le spirali, e il concetto di continuo (oggi noto anche come principio di archimedeicità ). Morì quando Siracusa fu conquistata dai Romani nel 212 a.c. Fu trafitto dalla daga di un soldato romano. La tradizione di allora ci dice che in quel momento stava pensando alle matematiche sue.

La scienza è una cosa viva e tutt'altro che certa. E' un corpus, espressione e frutto per lo più di un insieme di opinioni di pochi individui. Un insieme di opinioni condivise da una comunità di cultori, considerati dalla società autorevoli, che di solito chiamiamo scienziati o ricercatori. Quindi la scienza de facto è "un pregiudizio". Un giudizio impreciso, ipotizzato, e solo intersoggetivamente convalidato. In pratica, un giudizio considerato vero, perchè tutti dicono che è vero. Finchè qualcuno non dice che è falso, e tutti si convincono - forse - che è falso.
In sostanza, la scienza è un dogma irrazionale non oggettivamente confermabile, tenuto in gran conto solo perchè regala molte applicazioni pratiche. In fondo, anche la scienza è una religione.

D'altro canto, chi oggi si azzarderebbe a dire che è il Sole che gira attorno alla Terra, centro dell'Universo. Solo 400 anni fa, dire il contrario maturava una bella condanna per eresia. E non per pura crudeltà o miopia.
Il Bellarmino giustificò la condanna di Galielo su criteri di assennatezza, per l'allora. Argomentò basandosi sull'opinione sensata, autorevole, comune, confermata da mille anni di studi, e dall'Aristotele (un mostro sacro della scienza), dal Tolomeo (altro mostro sacro), e dall'opinione corrente dei più autorevoli uomini e dottori, e dalla autorità stessa della Chiesa e dei suoi studi, che ripetevano in sostanza, per varie ragioni e prove, che fosse la Terra ad essere al centro dell'Universo. Insomma, Galielo sembrava un'azzardato, forse anche uno stravagante, dal LORO punto di vista.

D'altro canto la Chiesa era anche un autorevolissimo ente internazionale in materia astronomica. Papa Gregorio, solo qualche decennio prima aveva riformato il calendario, introducendo un nuovo sistema, e correggendo i 17 giorni di scarto introdotti in 20 secoli dagli errori del calendario Giuliano, il calendario deciso da Giulio Cesare. Tutti adottarono la riforma, tranne i paesi di religione Ortodossa, per motivi di contrasto religioso. La Chiesa era considerata un ente autorevole in Astronomia oltre che sul piano politico internazionale, e non rinunciava certo a dire la sua in materia, anche a costo di usare le cattive, per avvalorare la stravagante opinione di uno scienziato, per quanto ben espressa. Il Cardinale Bellarmino difendeva una opinione autorevole, dunque, dalle dissertazioni di uno "scavezzacollo". Secondo la sua opinione, naturalmente.

Se oggi qualcuno venisse a dirvi che la Luna è di formaggio, perchè l'ha vista al telescopio, che pensereste voi? Pazzo col botto. Perchè siete normali e assennati.
Bellarmino era un normale e assenato esponente delle opinioni comuni della "scienza" di allora.
Il telescopio non poteva contraddire quasi 2000 anni di pensiero. Non aveva semplicemente senso, affermarlo, a quel tempo.

Galielo andò contro il senso comune parlando di METODO SPERIMENTALE.
Ovvero propose, e quasi pretese, di imporre l'allora astruso concetto che non fosse la teoria, la bellezza del concetto astratto e platonico, dei rapporti tra le parti, delle forme (un concetto non scomparso, vedi post prec.) a spiegare la realtà divina e accidentale. Secondo Galileo, era la realtà, il dato sperimentale del mondo accidentale e imperfetto a dover spiegare COME fosse fatto l'Universo divino, e non il viceversa. Ovviamente, i contemporanei qualificati sorrisero all'idea. La creazione massima della mente divina, l'Universo, spiegata dall'imperfezione accidentale quotidiana? Ma dai.. siamo seri.

Insomma. Cercate di capire. Non aveva senso per i dotti contemporanei, normali e assennati, pensare che l'Universo si spiegasse con le cose umane. Si doveva partire dai concetti perfetti: il cerchio, le sfere, le curve, le rette, i soldi platonici. Da quello si poteva, si doveva, poi arrivare a spiegare fino all'ultima oncia del creato accidentale e terreno. Una cosa maggiore si può fare minore. Non viceversa. Il generale arriva al particolare. Non viceversa.

Insomma, non era semplice per il Bellarmino, in tutta onestà, capire Galileo. Anche per motivi di prudenza. E gli intimò, alla fine, di smetterla di profferire eresie. Insomma si adegui , non turbi il senso comune, gli dice. O ne patirà gravi conseguenze.
Non è sempre facile la vita di chi si sforza di fare ricerca.

E non pensate sia tanto diverso oggi. Tuttora esiste un conformismo scientifico, e ambientale, che fa in modo che qualsiasi idea che si allontani dalla norma della comunità, possa venire bloccata (non finanziata), che qualsiasi atteggiamento non conforme possa non venire concretamente avvalorato (non trova quell'humus di laboratori, ricerca, e pubblicazioni su cui attecchire). Una forma di censura e una "richiesta di abiura" più sottile e molto più subdola di quella del Bellarmino, che almeno era palese. Oggi la questione è più impalbabile, ma non meno deleteria.

Insomma, nihil novi sub sole.

Parte quarta: Il metodo sperimentale secondo Feynman

WILAR. La magia della matematica

WILAR (What I Learnt about Research), Parte Seconda. La magia della matematica.

Non comincerò parlando di cose quotidiane. Preferisco cominciare con una citazione - con un testo che (ahimè) non è mio - con l'intenzione di far intendere, o intuire, qual è lo spirito, l'humus in cui si muove la mente e i desideri di chi fa ricerca, sin dai primi passi. Prima di tutto lo stupore per la linearità e la bellezza platonica del mondo, bellezza che si crede di poter trovare e ricostruire con formule chiare, lineari, potenti e scientificamente evocative.
Il ricercatore, è un bambino e al tempo stesso un mago, un sacerdote, che va alla ricerca delle tracce dell'armonia di Dio nell'universo. E qual è il primo luogo di armonia, di perfezione ideale e platonica, di correlazione mistica tra gli enti e i concetti che hanno potenze infinite e dimensioni metafisiche? La matematica. L'odiatissima matematica che per il ricercatore puro significa abbandono della contingenza, spinta verso l'ultraterreno, e viaggio nelle braccia metafisiche della logica divina.

Riporto qua la bellissima descrizione (la parte iniziale, prosegue con una dimostrazione che non riporto per ora) della cosidetta formula di Eulero-Lindemann. Quella che è stata chiamata la formula più "bella" della matematica, proprio da quel Feynman che citavo alcuni giorni fa. Ma leggiamo che dice l'autore del pezzo.

La prima volta che ci si imbatte nella formula di Eulero [nota del The Catcher: qui sopra] non si può fare a meno di rimanere "scioccati", oltre che un po’ increduli, di fronte al mistero che la sua semplicità racchiude in così pochi simboli. Numeri che provengono da contesti della matematica completamente diversi incrociano i loro destini in un’uguaglianza che più semplice non si poteva.
Di fronte a quella che dalla maggior parte dei matematici è considerata “La” formula più bella della matematica, l’eminente professore, proprio come il suo allievo, trova una difficoltà insormontabile nel tentare di percepirne fino a fondo il significato, e non può che arrendersi nel constatare una profondità più grande di lui. Come mai le due costanti e e π, provenienti da differenti ambiti della matematica, sono legate tramite il numero immaginario i in un modo così bizzarro? Talvolta capita che gli studenti siano addirittura tentati di “rifiutare” l'esistenza dei numeri immaginari, in quanto lontani dalla realtà e apparentemente artificiosi, eppure mai come in questo caso entità così astratte si rivelano intimamente legate ai più elementari dei numeri naturali: l’uno e lo zero.

Si dice che Gauss, forse il più grande e prolifico matematico di tutti i tempi, un giorno abbia ironicamente commentato che, se ad una persona la formula non appare immediatamente ovvia,questi non potrà mai essere un grande matematico! In effetti la dimostrazione è relativamente semplice per chi abbia un minimo di dimestichezza con i numeri complessi e il calcolo integrale...Anche dopo averla accettata, però, la dimostrazione non darà mai la soddisfazione di svelare completamente il profondo segreto che la formula sembra nascondere in sé.

Richard P. Feynman, fisico americano premio Nobel nel 1965 per i suoi studi sull’elettrodinamica quantistica, fu uno dei primi ad eleggerla “formula più bella di tutti i tempi”, quando all’età di 13 anni la inserì con tale appellativo nel suo quaderno di liceale. E come dargli torto? La prima cosa che si nota è che compaiono, una dopo l'altra, come in rassegna, tutte le entità fondamentali della matematica: la costante di Nepero (e = 2,7182818...), il valore di pi greco (π =
3,14159265...), l’unità immaginaria i (radice quadrata di –1), il numero 1 (elemento neutro per la moltiplicazione) e il numero 0 (elemento neutro per la somma).

Anche dal punto di vista storico, i concetti che vengono evocati spaziano attraverso le epoche e i luoghi che hanno fatto la storia della matematica: si pensi al periodo aureo della geometria greca (costante π), agli influssi della matematica indiana, che introdusse il concetto di zero, al dibattito rinascimentale italiano fra Tartaglia e Cardano relativamente alla risoluzione delle equazioni di terzo grado (unità immaginaria i), per poi passare alla nascita dei logaritmi ai tempi di Nepero (costante e), e infine al numero 1, onnipresente in tutte le culture e in tutti i tempi. Com’è possibile che queste entità fondamentali e apparentemente lontane tra loro possano intrecciarsi elegantemente a formare un tutt’uno di così pregevole armonia? Che cosa ci può essere di più mistico di un numero immaginario che interagisce con costanti reali per produrre il niente. [...]

(da: Flavio Cimolin – La formula di Eulero)
http://www.matematicamente.it/

(fine parte seconda)
Parte terza: Abbandoniamo la mistica

What I Learnt about Research

I bilanci si fanno a fine vita, o almeno a fine carriera. Ma non è da me. Si sa io sono pretenzioso, pieno di me, egocentrico, inutilmente pomposo, logorroico, etc. Il primo motore c'est moi. L'universo è mio, e anche tutti gli universi paralleli. Quindi che mi impedisce di fare bilanci a neanche metà del percorso della mia carriera? Niente.

D'altro canto non è il motivo per cui uno apre un blog? Per non avere qualcuno - la solita vocina fastidiosa - che ti castra l'immaginazione e il pensiero. Ho qualcosa da dire. La dico.
E poi vorrei cogliere l'occasione per "sfatare" alcuni miti positivi, e altri negativi, di questo mondo dai più ignorato, sopravvalutato, e - soprattutto - sottovalutato. I più pensano che i ricercatori siano tipi esoterici, stravaganti, che passano le loro ore in aula ad insegnare argomenti un po' pomposetti , e vivono tappati in laboratori che "puzzano" di provette e inchiostro.

Vedremo che è esattamente così. Se vuoi essere uno di quei ricercatori prenteziosetti e inutili, che forse fanno anche carriera, ma che non lasciano il segno (che per un ricercatore è grave). La realtà è che la ricerca è lotta quotidiana per un finanziamento, collegamenti coi politici, con gli amministratori delegati, e la società, necessità di relazione, obbligo e desiderio di comunicazione scientifica, e di relazioni professionali qualificate. E' una lotta, una passione, e un sentimento.

Come vedremo, c'è molta passione, non sempre però chi ha la passione del ricercatore occupa le cattedre giuste. Viceversa, chi occupa le cattedre non è detto che ne abbia la stoffa. La differenza sta nei dettagli, nelle scritte in piccolo. Bisogna porvi attenzione.

Il tema vorrebbe anche essere una pretesa, una scusa narrativa, per spiegare il difficile mestiere del creare nuova conoscenza e nuove prassi. Naturalmente tocca indirettamente, ma non casualmente, il problema "metodologico" e concreto della ricerca.

(Fine prima parte...)

Parte Seconda: il Fascino della Matematica.

venerdì 5 febbraio 2010

La matematica babilonese e Mr.Feynman

Stavo guardando sul sito di Microsoft Research le bellissime lectures (seminari) di Feynman sulla fisica meccanica . Si tratta di video del 1964 della BBC, sempre eccellente in questo, ripresi alla Cornell University. Seminari divulgativi, niente di complicato.

Stavo quindi guardando questi video dei seminari del 1964 per la BBC quando Feynman parlando a braccio della relazione tra Matematica e Fisica - e a cosa serve la matematica ai Fisici, insomma se sia proprio così necessaria usarla, dato che i Fisici parlano della realtà, non di astrazioni platoniche create dalla mente - parlando di questo, non si mette a citare la differenza esistente tra la Scuola Matematica Babilonese (sì quella di 2000 anni prima di Cristo) e la Scuola Matematica Greca (quella di Talete, Eratostene, Euclide, Pitagora; quella che si studia al liceo)?

Scuola Matematica Babilonese? Io pensavo che i Babilonesi sapessero a malapena contare sulle dita fino a 10. Anzi, fino a 60 (usavano la base 60: dovevano avere sei dita e dieci mani!). Invece, sembra che conoscessero benissimo la matematica. Dato che abbiamo migliaia di tavolette in argilla rimasteci pare che sappiamo molto di loro (vedi qua) e sembra che conoscessero benissimo il teorema di Pitagora 1500 anni prima che Pitagora nascesse, e che sapessero estrarre radici quadrate con precisione a cinque cifre (senza calcolatori), risolvere equazioni di primo, secondo e terzo grado, e migliaia di altre cose che io tuttora non sono sicuro di saper fare. Parliamo di una Matematica nata 20 secoli prima di Pitagora e arrivata appunto fino a Pitagora stesso.

La scuola Matematica Babilonese - dice Feynman - procedeva soprattutto per esempi, finchè dopo migliaia di esempi, l'allievo arrivava spontaneamente ad una generalizzazione intuitiva. Quella Greca invece procedeva per teoremi e dimostrazioni rigorose, cioè partiva subito dalle generalizzazioni per arrivare, solo dopo, ai casi specifici: come portato, come conseguenze (anche di poco interesse, pare).

Insomma una questione "travolgente", al punto che la pianto qua e vi rimando alla "lecture 2" se siete interessati al seguito: è in inglese, sottotitolata. Non ve la consiglio, se non siete malati di mente come me, e appassionati della teoria e dei fondamenti della Scienza.

Sta scherzando, Mr. Feynman?

Feynman non è il solito "Fisico" paludato, coi capelli bianchi, noiosetto, con gli occhialini, che non conosce il sapone, le donne, ed è un secchione. Probabilmente se non fosse stato un genio della fisica, avrebbe fatto il surfer, o avrebbe gestito un bar a Manhattan frequentato da mafiosi e da F.Sinatra. Feynman è uno dei tre padri della meccanica quantistica. Una disciplina che ha de facto inventato quasi da solo. Era un maestro a crearsi formalismi su misura, e questa sua abilità è stato proprio quella che è servita ad una nuova disciplina come la allora nascente meccanica quantistica.
Era a Los Alamos a costruire l'atomica, a 27 anni, con personaggini come Fermi e company. Era un noto sciupafemmine: sembra che si sia "ripassato" le moglie di molti sui colleghi scienziati, probabilmente meno umanamente brillanti. E amava dilettarsi nell'aprire cassaforti indovinando le combinazioni. Che in un posto dove si sta costruendo segretamente la prima bomba atomica, potrebbe non essere il giusto atteggiamento da tenere.

Fu anche nella commissione presidenziale per determinare perchè il Challenger (lo Shuttle) esplose in fase di decollo nel 1986, portandosi via sette astronauti, e pare sia stato l'unico a dare un'indicazione chiara delle cause, risalenti alle condizioni climatiche della notte prima del decollo. In un famoso episodio dimostrò la natura fragile di alcune guarnizioni ad "O" dello Shuttle inzuppandone un segmento in una tazza di acqua ghiacciata. Premio Nobel nel 1965, a 47 anni, per la quanto-elettrodinamica e divulgatore di altissimo profilo. Insomma, nel suo campo fu un personaggio e un genio. (vedi anche http://en.wikipedia.org/wiki/Richard_Feynman )

Consigliamo la lettura delle famose "The Feynman Lectures on Physics" di Feynman • Leighton • Sands, il suo libro autobiografico e semiserio "Are you Kidding, Mr.Feynmam" e la visione delle sue "lectures" - seminari divulgativi, non semplicistici - del 1964 (video) registrati dalla BBC alla Cornell University per il grande pubblico e resi disponibili da Microsoft Research qua:
http://research.microsoft.com/apps/tools/tuva/index.html#data=4%7C6b89dded-3eb8-4fa4-bbcd-7c69fe78ed0c%7C%7C

Matematica Babilonese

Matematica babilonese (nota anche come matematica assiro-babilonese ).

Si riferisce a qualsiasi matematica del popolo della Mesopotamia, dai tempi dei Sumeri fino alla caduta di Babilonia nel 539 aC. I testi matematici babilonesi sono abbondanti e ben realizzati. Per quanto riguarda il tempo rientrano in due gruppi distinti: uno per il periodo antico babilonese (1830-1531 aC), l'altro in quello prevalentemente seleucide degli ultimi tre o quattro secoli A.C. Per quanto riguarda i contenuti non vi è quasi alcuna differenza tra i due gruppi di testi. Così la matematica babilonese è rimasta costante, nel carattere e il contenuto, per quasi due millenni. In contrasto con la scarsità delle fonti in matematica egiziana, la nostra conoscenza della matematica babilonese è derivato da circa 400 tavolette di argilla rinvenute nel 1850. Scritta in caratteri cuneiformi, le tavolette venivano iscritte, mentre l'argilla era umida, venivano poi indurite e cotta in un forno o col calore del sole. La maggior parte delle tavolette di argilla datano tra il 1800-1600 aC, e vertono su tematiche che comprendono frazioni, algebra, equazioni di secondo grado e terzo e il teorema di Pitagora. ( fonte wikipedia)

In foto la Tavoletta di argilla Babilonese YBC 7289 e note. La diagonale mostra una approssimazione della radice quadrata di 2 usando quattro figure sessagesimale, che corrispondono all'incirca a sei figure decimali

(ref: http://en.wikipedia.org/wiki/Babylonian_mathematics#Sumerian_mathematics_.283000_.E2.80.94_2300_BC.29)

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SM