giovedì 15 dicembre 2011

lunedì 24 ottobre 2011

La nuda verità.


Queste parole non sono mie, le riporto così come sono.

"Avete notato che, se sedete in silenzio sulla riva del fiume, ne udite il canto - lo sciabordio dell’acqua, il rumore della corrente? C’è sempre un senso di movimento, uno straordinario movimento verso ciò che è più ampio e più profondo.

Nella piccola pozza invece non c’è alcun movimento, la sua acqua è stagnante. E se osservate, vedrete che è questo che la maggior parte di noi desidera: piccole pozze stagnanti di esistenza lontano dalla vita. Affermiamo che questa nostra esistenza stagnante è giusta e abbiamo inventato una filosofia per giustificarla; abbiamo sviluppato teorie sociali, politiche, economiche e religiose in suo sostegno e non vogliamo essere disturbati perché, in definitiva, siamo alla ricerca di un senso di permanenza.

Sapete cosa significa ricercare la permanenza? Significa volere che le cose piacevoli durino indefinitamente e che quelle spiacevoli cessino al più presto.

Vogliamo che il nome che portiamo sia conosciuto e tramandato attraverso la famiglia e la proprietà. Vogliamo un senso di permanenza nei rapporti, nelle attività, il che vuol dire che cerchiamo una vita durevole e continua nella nostra pozza stagnante; non desideriamo alcun vero cambiamento, così abbiamo edificato una società che ci garantisce la permanenza di proprietà, nome e fama.

Ma, vedete, la vita non è affatto così; la vita non è permanente.

La vita è come un fiume: procede incessantemente, sempre intenta a cercare, esplorare, spingere, traboccare, penetrare ogni fessura con la propria acqua.

Ma, vedete, la mente non consentirà che le accada questo. La mente capisce che è pericoloso vivere in uno stato di impermanenza, di insicurezza, e così si costruisce un muro attorno: il muro della tradizione, della religione organizzata, delle teorie politiche e sociali. La famiglia, il nome, la proprietà, le piccole virtù che abbiamo coltivato - sono tutti racchiusi dentro le mura, lontano dalla vita.

La vita è mobile, impermanente, e cerca incessantemente di infiltrare, di abbattere queste mura, dietro le quali c’è confusione e infelicità. Gli dei all’interno delle mura sono tutti falsi dei, e i loro scritti e le loro filosofie non hanno alcun significato, poiché la vita è al di là di essi.

Una mente che non abbia mura, che non sia gravata dal peso delle proprie acquisizioni, delle cose accumulate, della conoscenza, una mente che viva senza tempo, senza sicurezza - per una mente simile, la vita è una cosa straordinaria.

Una mente così è la vita stessa, perché la vita non conosce rifugio. Ma la maggior parte di noi desidera un rifugio: una casetta, un nome, una posizione, tutte cose che affermiamo essere molto importanti. Chiediamo permanenza e creiamo una cultura fondata su tale bisogno, inventando dei che non sono affatto dei, ma semplici proiezioni dei nostri stessi desideri.

Se lo comprendete, avrete cominciato a comprendere la straordinaria verità di ciò che è la vita, e in quella comprensione c’è grande bellezza e amore, il fiorire della bontà.
Mentre gli sforzi di una mente che ricerca una pozza di sicurezza, di permanenza, possono solo portare all’oscurità e alla corruzione. Una volta installatasi nella pozza, una mente simile ha paura di avventurarsi fuori, di cercare, di esplorare; ma la verità, Dio, la realtà o quel che preferite, si trovano oltre la pozza.

Sapete che cos’è la religione? Non è nelle preghiere salmodiate, né nel compimento di un rito, non è nei templi e nelle chiese, né nella lettura della Bibbia, o della Bhagavadgita, non consiste nel ripetere un nome sacro, o nel seguire qualche altra superstizione inventata dagli uomini. Nulla di tutto ciò è religione.

La religione è il sentimento di bontà, quell’amore che è simile a un fiume, vivo, eternamente in movimento. In quello stato scoprirete che arriva un momento in cui ogni ricerca cessa del tutto; e la fine della ricerca è l’inizio di qualcosa di totalmente differente. La ricerca di Dio, della verità, il sentirsi completamente buoni - non il coltivare la bontà e l’umiltà, ma il cercare qualcosa al di là delle invenzioni e dei trucchi della mente, il che significa sentire quel qualcosa, vivere in esso, esserlo - quella è la vera religione."

Da "La ricerca della felicità" di Jiddu Krishnamurti.

venerdì 21 ottobre 2011

Nāgārjuna: la vacuità, l'interdipendenza concettuale e ontologica.


« Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. »
(Nāgārjuna)


Nāgārjuna (Andhra, c. 150 – 250) è stato un monaco buddhista indiano, filosofo e fondatore della scuola dei Mādhyamika e patriarca delle scuole Mahāyāna.

Tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. la dottrina buddhista è stato sottoposta ad una revisione ed approfondimento a partire da alcuni Prajñāpāramitā sūtra .
La vacuità (śunyātā) è la categoria fondamentale dei Prajñāpāramitā Sūtra e della filosofia di Nāgārjuna.

Nelle dottrine del Buddhismo dei Nikāya, è presente l'idea della coproduzione condizionata, per la quale nessun fenomeno (dharma) ha una esistenza in sé (anātman), in quanto ogni fenomeno nasce solo in relazione ad altri fenomeni che lo hanno preceduto: esiste A solo in quanto è esistito un non-A. Questa realtà dei fenomeni posta su un piano temporale di impermanenza (anitya) conservava una stabilità temporale immediata ovvero una identità precisa.

Per Nagarjuna, oltre l'impermanenza temporale, vi è una ulteriore qualità nell'anatman dei fenomeni: essi sono vuoti anche di una stessa loro identità in quanto dipendono uno dall'altro sul piano temporale del presente, dell'immediato: esiste A solo in quanto esiste anche un non A.

Tutti i fenomeni sono quindi privi di identità, vuoti di identità. [..] Poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente, si può dire che tutto ciò che esiste è vuoto.

L'esperienza della vacuità è la via che porta alla liberazione. Ma la vacuità non può essere conosciuta con il pensiero ordinario (o convenzionale) che tratta dei fenomeni come se fossero indipendenti e stabili, dotati di natura immutabile e certa..

Gran parte dell'opera di Nāgārjuna consiste pertanto in una critica raffinata delle diverse dottrine che sottintendono l'esistenza dei fenomeni in quanto tali, e che vengono per questo ridotte all'assurdo (prasaṅga).

Da parte sua, Nāgārjuna non presenta alcuna dottrina, poiché l'esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione filosofica. L'idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se la vacuità viene entificata. La vacuità richiede, ed è, la rinuncia ad ogni opinione. (fonte: Wikipedia)

* * *

La Sesta Paramita: La Saggezza – Riconoscere la vera natura della mente.

[..] Ciò che rende le paramita liberatrici (param = oltre, ita = andare) iè il sesto punto: la comprensione che fare il bene è naturale. Nella sua pienezza, implica la comprensione dei sedici livelli di vacuità ovvero dell’origine interdipendente di tutti i fenomeni, esterni ed interni.

Poiché soggetto, oggetto ed azione sono tutte parti della stessa totalità, cos’altro si può fare? Esse si condizionano l’una con l’altra e condividono lo stesso spazio mentre nessun ego, io o essenza durevole si può trovare in esse nè altrove. Quando ci rendiamo conto di questo, comprendiamo anche che ciò che tutti gli esseri desiderano è la felicità; allora potremo agire per portare loro beneficio nel lungo termine.

fonte: Kagyu Life International, No.3, 1995 Copyright ©1995 Kamtsang Choling USA


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